Ricorso per la Regione Molise, in persona  del  Presidente  della
Giunta  regionale  pro  tempore  dott.  Donato  Toma,  con  sede   in
Campobasso, via Genova, n. 11, cod. fisc. 00169440708, giusta procura
speciale alle liti in  calce  al  presente  atto  e  in  forza  della
delibera della Giunta regionale della Regione Molise  n.  10  del  24
gennaio 2019 rappresentata e difesa dall'avv. prof.  Massimo  Luciani
del Foro di Roma  (cod.  fisc.  LCNMSM52L23H501G,  fax.  06.90236029,
posta elettronica certificata massimoluciani@ordineavvocatiroma.org),
con domicilio eletto presso il suo studio in 00153 Roma,  Lungotevere
Raffaello Sanzio, n. 9, 
    contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente  del  Consiglio  pro  tempore,  rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato nella cui sede  in  00186  Roma,
via  dei  Portoghesi,  n.  12,  e'  domiciliato  ex  lege,   per   la
dichiarazione d'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  25-septies
del decreto-legge 23 ottobre  2018,  n.  119,  recante  «Disposizioni
urgenti in materia fiscale e finanziaria», convertito in  legge,  con
modificazioni, dalla legge  17  dicembre  2018,  n.  136,  pubbl.  in
Gazzetta Ufficiale 18 dicembre 2018, n. 293. 
 
                                Fatto 
 
    Premessa. - L'odierna  quaestio  impone  di  ricostruire,  seppur
sinteticamente,  l'evoluzione   della   normativa   in   materia   di
commissariamenti delle regioni in piano di rientro dal disavanzo  del
settore sanitario. 
    Le specifiche vicende della Regione  Molise  sono  peraltro  gia'
note a codesta ecc.ma Corte, per essere state richiamate nel  ricorso
per conflitto d'attribuzione proposto da questo  ente  nei  confronti
della Presidenza del Consiglio dei ministri per l'annullamento  della
delibera del Consiglio dei ministri del 7 dicembre 2018. 
    In questa sede, dunque, ci si limitera' a  richiamarne  solo  gli
aspetti    rilevanti    ai    fini    dell'auspicata    dichiarazione
d'illegittimita' costituzionale della norma indicata in epigrafe. 
    1. - L'art. 2 della legge 23 dicembre 2009,  n.  191,  nel  testo
precedente le modifiche apportate dalla legge 23  dicembre  2014,  n.
190 (su cui v. subito infra) disponeva, per quanto qui rileva, che: 
        i) «Il Consiglio  dei  ministri,  su  proposta  del  Ministro
dell'economia e delle finanze, di  concerto  con  il  Ministro  della
salute, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, decorsi  i
termini  di  cui  al  comma  78,  accerta  l'adeguatezza  del   piano
presentato anche  in  mancanza  dei  pareri  delle  citate  Struttura
tecnica e Conferenza. [...] In caso di riscontro negativo, ovvero  in
caso di mancata presentazione del piano, il Consiglio  dei  ministri,
in  attuazione  dell'articolo  120  della  Costituzione,  nomina   il
presidente della regione commissario ad acta per la  predisposizione,
entro i successivi trenta giorni, del piano di rientro e per  la  sua
attuazione per l'intera durata del piano stesso [...]» (comma 79); 
        ii)  «Qualora   il   presidente   della   regione,   nominato
commissario ad acta per la redazione  e  l'attuazione  del  piano  ai
sensi dei commi 79 o 83, non adempia in tutto o in parte  all'obbligo
di redazione del piano o agli obblighi,  anche  temporali,  derivanti
dal piano stesso, indipendentemente dalle ragioni dell'inadempimento,
il Consiglio dei ministri,  in  attuazione  dell'articolo  120  della
Costituzione,  adotta  tutti  gli  atti  necessari  ai   fini   della
predisposizione del piano di rientro e  della  sua  attuazione.[...]»
(comma 84, primo periodo); 
        iii) «In caso di dimissioni o di impedimento  del  presidente
della regione il Consiglio dei  ministri  nomina  un  commissario  ad
acta, al quale spettano i poteri indicati nel terzo e quarto  periodo
del comma 83 fino all'insediamento del nuovo presidente della regione
o alla cessazione della causa di impedimento. Il  presente  comma  si
applica anche ai commissariamenti disposti ai sensi dell'articolo  4,
comma 2, del decreto-legge l° ottobre 2007, n. 159,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007,  n.  222,  e  successive
modificazioni» (comma 84-bis). 
    1.1. - Orbene, tra i commissariamenti disposti ai sensi dell'art.
4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 - rientra anche  quello
che interessa da circa un decennio la Regione Molise.  Giova  infatti
segnalare che il decreto-legge n. 159 del 2007 all'art. 4 - rubricato
«Commissari ad acta per le regioni inadempienti» - prevede  al  primo
comma che, «qualora nel procedimento di verifica e  monitoraggio  dei
singoli Piani di rientro [...] si prefiguri il  mancato  rispetto  da
parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi Piani, in
relazione  alla  realizzabilita'  degli  equilibri  finanziari  nella
dimensione e nei tempi ivi programmati», il Presidente del  Consiglio
dei ministri, con la procedura di cui  all'art.  8,  comma  1,  della
legge 5 giugno 2003, n. 131, «diffida la regione  ad  adottare  entro
quindici   giorni   tutti   gli   atti   normativi,   amministrativi,
organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento  degli
obiettivi previsti nel Piano». 
    La stessa norma, al comma 2, dispone che, qualora la regione «non
adempia alla diffida di cui al comma 1, ovvero gli atti e  le  azioni
posti in essere, valutati dai predetti Tavolo e  Comitato,  risultino
inidonei  o   insufficienti   al   raggiungimento   degli   obiettivi
programmati, il Consiglio dei ministri, [...], nomina un  commissario
ad acta  per  l'intero  periodo  di  vigenza  del  singolo  Piano  di
rientro». 
    Non solo. Anche dopo l'inizio  della  gestione  commissariale,  e
sempre «al fine di assicurare la puntuale  attuazione  del  piano  di
rientro», il  Consiglio  dei  ministri  puo'  nominare  «uno  o  piu'
subcommissari  di  qualificate  e  comprovate   professionalita'   ed
esperienza in materia  di  gestione  sanitaria,  con  il  compito  di
affiancare  il  commissario  ad  acta   nella   predisposizione   dei
provvedimenti da assumere in esecuzione dell'incarico commissariale». 
    Quanto al rapporto  tra  commissario  e  sub-commissario,  sempre
l'art. 4, comma 2, in esame stabilisce che «i subcommissari  svolgono
attivita' a supporto dell'azione del  commissario:  essendo  il  loro
mandato vincolato  alla  realizzazione  di  alcuni  o  di  tutti  gli
obiettivi affidati al commissario con il mandato commissariale». 
    Com'e' evidente,  dunque,  la  gestione  commissariale  disegnata
dall'art. 4, comma 2, ha  una  struttura  tendenzialmente  duale.  Il
subcommissario,  infatti,  rappresenta  la  componente  squisitamente
tecnica, mentre il commissario - da individuarsi  nella  persona  del
presidente della  regione  interessata -  costituisce  l'elemento  di
raccordo politico-decisionale con l'istituzione regionale. 
    Quanto agli oneri derivanti  dalla  gestione  commissariale  essi
sono - stando sempre al menzionato art. 4, comma 2, del decreto-legge
n. 159 del 2007 - «a carico della regione interessata». 
    1.2. - In  questo  quadro  normativo  si  inseriva  la  legge  23
dicembre   2014,   n.   190,   che   ha   introdotto   il   principio
dell'incompatibilita'  tra  la  nomina  a  commissario  ad   acta   e
l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi  incarico  istituzionale
presso la regione soggetta a commissariamento. 
    L'art. 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014 - nel  testo  in
vigore fino al 18 dicembre 2018 - disponeva infatti che «la nomina  a
commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione
del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario,  effettuata
ai sensi dell'articolo 2, commi 79, 83 e 84, della legge 23  dicembre
2009, n.  191,  e  successive  modificazioni,  e'  incompatibile  con
l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi  incarico  istituzionale
presso la regione soggetta a commissariamento» e che «il  commissario
deve possedere un curriculum che evidenzi  qualificate  e  comprovate
professionalita' ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai
risultati in precedenza conseguiti». 
    La norma, conseguentemente, apportava le  seguenti  modifiche  ai
menzionati commi 79, 83, 84 e 84-bis, dell'art. 2 della legge n.  191
del 2009: 
        «a) al comma 79, alinea: 
1) al terzo periodo, le parole: "il presidente  della  regione"  sono
sostituite dalla seguente: "un"; 
2) al quarto periodo, le parole: "presidente quale" sono soppresse»; 
         «b) al secondo periodo dell'alinea del comma 83, le  parole:
«il presidente della regione o un  altro  soggetto»  sono  sostituite
dalla seguente: "un"»; 
        «c) al  comma  84,  le  parole:  "presidente  della  regione,
nominato" sono soppresse e le parole: "ai sensi dei commi 79  o  83,"
sono sostituite dalle seguenti: ", a qualunque titolo nominato,"»; 
        «d) il comma 84-bis e' sostituito dal seguente: 
"84-bis. In caso di impedimento del presidente della regione nominato
commissario ad acta, il Consiglio dei ministri nomina un  commissario
ad acta, al quale spettano i poteri indicati nel terzo e  nel  quarto
periodo  del  comma  83,  fino  alla  cessazione   della   causa   di
impedimento"» (qui,  come  si  vede,  a  parte  l'eliminazione  della
fattispecie delle dimissioni, veniva  meno,  rispetto  alla  versione
precedente,  il  riferimento  all'applicazione  ai   commissariamenti
disposti ex art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007). 
    1.3. - Successivamente, pero', l'art. 1, comma  395,  della legge
11 dicembre 2016, n. 232, stabiliva che «le disposizioni  di  cui  al
comma 569 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre  2014,  n.  190»  -
citato al paragrafo  precedente -  «non  si  applicano  alle  regioni
commissariate ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1°
ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla  legge  29
novembre 2007, n. 222». 
    Per tali regioni, infatti,  «il  Comitato  e  il  Tavolo  tecnico
[...], con cadenza semestrale, in occasione delle periodiche riunioni
di verifica, predispongono [...]  una  relazione  ai  Ministri  della
salute e dell'economia e delle finanze, da trasmettere  al  Consiglio
dei   ministri,   con   particolare   riferimento   al   monitoraggio
dell'equilibrio di bilancio e dell'erogazione dei livelli  essenziali
di assistenza, anche al fine delle determinazioni di cui all'articolo
2, comma 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191». 
    1.4. - In forza del citato art. 1, comma 395, della legge n.  232
del 2016, dunque, per le regioni commissariate ai sensi dell'art.  4,
comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 - tra le quali era appunto
la  Regione  Molise  -  non  trovava   applicazione   nessuna   delle
disposizioni di cui al menzionato art. 1, comma 569,  della legge  n.
190 del 2014. 
    Per l'effetto in tali regioni: 
         la nomina a commissario  ad  acta  per  la  predisposizione,
l'adozione o l'attuazione del piano di rientro non era «incompatibile
con  l'affidamento  o   la   prosecuzione   di   qualsiasi   incarico
istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento» (art. 1,
comma 569, primo periodo); 
         il commissario  non  doveva  necessariamente  «possedere  un
curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalita'  ed
esperienza di gestione  sanitaria  anche  in  base  ai  risultati  in
precedenza conseguiti» (art. 1, comma 569, secondo periodo). 
    Non solo. Alle regioni commissariate ai sensi dell'art. 4,  comma
2, del decreto-legge n. 159 del 2007 non si  applicavano  neppure  le
altre previsioni del  menzionato  art.  1,  comma  569,  modificative
dell'art. 2, commi 79, 83, 84 e 84-bis. 
    Tali disposizioni, dunque, valevano, si', ma  nel  testo  vigente
prima delle  modifiche  apportate  dal  citato  art.  1,  comma  569,
sicche', come gia' segnalato al par. 1, stabilivano che: 
        i) il Consiglio dei ministri nominasse commissario ad acta il
presidente della regione; 
        ii)  solo  in  caso  di  dimissioni  o  di  impedimento   del
presidente della regione il Consiglio dei ministri  potesse  nominare
un commissario ad acta fino  all'insediamento  del  nuovo  presidente
della regione o alla cessazione della causa di impedimento. 
    2. - Nella Gazzetta Ufficiale n. 293 del 18 dicembre  2018  stata
pubblicata la legge 17 dicembre 2018, n.  136,  di  conversione,  con
modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre  2018,  n.  119,  recante
«Disposizioni urgenti in materia fiscale e  finanziaria»  (hinc  inde
anche «decreto fiscale»). 
    L'art. 25-septies del decreto-legge n. 119  del  2018,  rubricato
«Disposizioni in materia di commissariamenti delle regioni  in  piano
di rientro dal disavanzo del settore sanitario», e' stato  introdotto
proprio in sede di conversione e ha disposto quanto segue: 
        «1. All'articolo 1, comma 395, della legge 11 dicembre  2016,
n. 232, sono apportate le seguenti modificazioni: 
a) il primo periodo e' soppresso; 
b) al secondo periodo, le parole:  «per  le  medesime  regioni»  sono
sostituite dalle seguenti: «per le  regioni  commissariate  ai  sensi
dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n.  159,
convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, 222». 
        2. Al comma 569 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014,
n. 190, sono apportate le seguenti modificazioni: 
a)  nell'alinea,  al  primo  periodo,  le   parole:   «e   successive
modificazioni,» sono sostituite  dalle  seguenti:  «ovvero  ai  sensi
dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n.  159,
convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n.  222,
»; 
b) nell'alinea, il secondo e il terzo  periodo  sono  sostituiti  dal
seguente: «Il  commissario  ad  acta  deve  possedere  qualificate  e
comprovate professionalita' nonche' specifica esperienza di  gestione
sanitaria  ovvero  aver  ricoperto  incarichi  di  amministrazione  o
direzione di strutture, pubbliche o  private,  aventi  attinenza  con
quella sanitaria ovvero di particolare complessita', anche  sotto  il
profilo della prevenzione  della  corruzione  e  della  tutela  della
legalita'.»; 
c) la lettera d) e' sostituita dalla seguente: 
    «d) il comma 84-bis e' abrogato». 
    3. Le disposizioni di cui al primo e al secondo periodo del comma
569 dell'articolo 1 della  legge  23  dicembre  2014,  n.  190,  come
modificato dal comma 2 del presente articolo, si applicano anche agli
incarichi commissariali in atto, a qualunque  titolo,  alla  data  di
entrata in vigore del presente decreto. Conseguentemente il Consiglio
dei ministri provvede entro novanta giorni, secondo la  procedura  di
cui all'articolo 2, comma 79, della legge 23 dicembre 2009,  n.  191,
alla nomina di un commissario ad acta per ogni regione in cui si  sia
determinata  l'incompatibilita'  del  commissario,  il  quale   resta
comunque in carica fino alla nomina del nuovo commissario ad acta». 
    2.1.  -  Gli  effetti  dell'articolo  in  esame,  con   specifico
riferimento alla Regione Molise, sono i seguenti. 
    Anzitutto l'art. 25-septies, comma 1, ha reintrodotto  anche  per
le  regioni  commissariate  ai  sensi  dell'art.  4,  comma  2,   del
decreto-legge n. 159 del 2007 - come appunto  l'odierna  ricorrente -
l'incompatibilita'  fra  la  nomina   a   commissario   ad   acta   e
l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi  incarico  istituzionale
presso la regione. 
    In secondo luogo, l'art. 25-septies, comma 2,  ha  introdotto  il
principio - vincolante anche per le regioni  commissariate  ai  sensi
dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159  del  2007  -  che  il
commissario  ad  acta  «deve  possedere  qualificate   e   comprovate
professionalita' nonche' specifica esperienza di  gestione  sanitaria
ovvero aver ricoperto incarichi di  amministrazione  o  direzione  di
strutture, pubbliche o private, aventi attinenza con quella sanitaria
ovvero di particolare complessita',  anche  sotto  il  profilo  della
prevenzione della corruzione e della tutela della legalita'». 
    Lo stesso comma 2 ha altresi' abrogato il comma 84-bis  dell'art.
2 della legge n. 191  del  2009,  norma,  quest'ultima,  dalla  quale
discendeva chiaramente la necessaria coincidenza tra  commissario  ad
acta  e   presidente   della   regione,   derogabile   esclusivamente
nell'ipotesi dell'impedimento o delle dimissioni di quest'ultimo. 
    Infine,  il  comma  3  dell'art.   25-septies   ha   disciplinato
l'efficacia temporale della modifica introdotta,  disponendo  ch'essa
si applica, retroattivamente, «anche agli incarichi commissariali  in
atto, a qualunque titolo, alla data di entrata in vigore del presente
decreto». 
    Per di piu', la norma ha imposto al  Consiglio  dei  ministri  di
provvedere «entro novanta giorni [...] alla nomina di un  commissario
ad acta per ogni regione in cui si sia determinata l'incompatibilita'
del commissario, il quale resta comunque in carica fino  alla  nomina
del nuovo commissario ad acta». 
    L'art. 25-septies del decreto-legge  23  ottobre  2018,  n.  119,
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018,
n. 136, e' lesivo degli interessi e delle attribuzioni costituzionali
della Regione Molise, che ne chiede la declaratoria  d'illegittimita'
costituzionale per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    Premessa. - Occorre in limine segnalare che  «la  disciplina  dei
piani di rientro dai deficit di  bilancio  in  materia  sanitaria  e'
riconducibile  a  un   duplice   ambito   di   potesta'   legislativa
concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.: tutela della
salute e coordinamento della finanza pubblica» (Corte  cost.,  sentt.
nn. 278 del 2014 e 266 del 2016). 
    La previsione normativa di che trattasi tocca pertanto  un  campo
certamente  coperto  da  attribuzioni  regionali   costituzionalmente
garantite. 
    Come -  si  confida  -  si  dimostrera',  l'art.  25-septies  del
decreto-legge  n.  119  del  2018  non  solo   interseca,   ma   lede
irrimediabilmente le prerogative costituzionali della Regione Molise,
operando una gravissima compressione delle sue competenze legislative
e amministrative negli ambiti materiali suindicati, compressione - si
badi - ulteriore rispetto a quella che gia' discende dal suo «status»
di regione commissariata in Piano di rientro. 
    L'incidenza nella sfera di competenza regionale a  opera  di  una
norma che modifica i criteri di nomina del commissario  ad  acta  per
l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo nel settore sanitario
e', dunque, autoevidente e le  censure  che  appresso  si  esporranno
lamentano  anzitutto  la  diretta   violazione   delle   attribuzioni
costituzionali riconosciute alla regione nelle materie «tutela  della
salute» e «coordinamento della finanza  pubblica»  ex  articoli  117,
comma 3, e 118 Cost.,  anche  quando,  in  una  con  questi,  saranno
invocati altri parametri costituzionali. 
    1.  -  Violazione  dell'art.  77  Cost.   in   riferimento   alle
attribuzioni costituzionali riconosciute alla regione  nelle  materie
«tutela della salute» e «coordinamento  della  finanza  pubblica»  ex
articoli 117, comma  3,  e  118  Cost.,  nonche'  in  riferimento  al
principio di leale collaborazione. L'orientamento di  codesta  ecc.ma
Corte e' costante nel ritenere che «le regioni possono  impugnare  un
decreto-legge  per  motivi  attinenti  alla  pretesa  violazione  del
medesimo art. 77, "ove adducano che da  tale  violazione  derivi  una
compressione delle loro competenze costituzionali" (sentenza n. 6 del
2004)» (sent. n. 22 del 2012). 
    Nel caso di specie la patente violazione dell'art. 77 Cost. -  di
cui appresso si dira' - non concerne l'intero decreto-legge, ma  solo
la norma di cui in epigrafe, e ridonda certamente in  violazione  del
riparto di competenze tra lo Stato e la  Regione  Molise.  Attraverso
l'illegittimo inserimento dell'art. 25-septies nel  decreto-legge  n.
119 del 2018, lo Stato non solo ha impiegato uno strumento improprio,
ammesso dalla Costituzione in presenza di condizioni qui -  invece  -
carenti, ma  ha  vincolato  la  ricorrente  (commissariata  ai  sensi
dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159  del  2007)  senza  il
rispetto delle procedure collaborative fra lo Stato e le regioni che,
come e' noto, sono da osservare anche nell'esercizio  della  funzione
legislativa (sent. n. 251 del 2016). L'impiego dello  strumento  (che
dovrebbe essere straordinario) del decreto-legge ha  invece  impedito
qualunque forma di interlocuzione sia con la regione ricorrente,  sia
con la Conferenza Stato-Regioni. 
    1. - Come  anticipato,  la  disciplina  qui  censurata  e'  stata
introdotta  dalla  legge  n.  136  del  2018,  di   conversione   del
decreto-legge n. 119 del 2018. 
    Nel  testo  di  quest'ultimo,  emanato   dal   Presidente   della
Repubblica e pubblicato in Gazzetta Ufficiale  23  ottobre  2018,  n.
247, non v'era  infatti  alcuna  traccia  della  norma  de  qua  ne',
tantomeno, di altre disposizioni lato sensu riconducibili al tema del
commissariamento delle regioni in piano di rientro dal disavanzo  del
settore sanitario. 
    Va  in  limine  precisato,  peraltro,  che  l'innesto   dell'art.
25-septies nel corpo  del  c.d.  «decreto-fiscale»  rappresenta  solo
l'ultimo di una serie di tentativi del Governo -  sin  li'  falliti -
tesi  a  introdurre,   indifferentemente   dentro   questo   o   quel
decreto-legge, il divieto di cumulo dell'incarico  commissariale  con
quello istituzionale anche nelle regioni  in  piano  di  rientro  dal
disavanzo del settore sanitario commissariate ai sensi  dell'art.  4,
comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007. 
    Costituisce fatto notorio  che  il  predetto  divieto  era  stato
inizialmente  inserito,  nel  settembre   2018,   nello   schema   di
decreto-legge  28  settembre  2018,  n.  109  (recante  «Disposizioni
urgenti per la citta' di Genova, la sicurezza  della  rete  nazionale
delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del  2016  e
2017, il lavoro e le altre emergenze»), per poi essere stralciato dal
testo definitivo. 
    Circa un  mese  dopo,  nello  «Schema  di  decreto-legge  recante
disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili»
(13  ottobre  2018,  ore  17,30),  figurava  una  norma,  l'art.   24
(rubricato proprio «Disposizioni in materia di commissariamenti delle
regioni in piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario»), di
tenore pressoche' identico all'art. 25-septies qui censurato. 
    Anche in questo caso,  pero',  la  norma  veniva  stralciata  dal
decreto-legge prima dell'emanazione. 
    Nondimeno, nel dicembre 2018, in sede di conversione del medesimo
decreto-legge n. 119 del  2018,  la  6ª  Commissione  del  Senato  ha
riproposto,   pel   tramite   dell'emendamento   25.0.100,    proprio
l'introduzione della norma corrispondente all'attuale art. 25-septies
del decreto-legge n. 119 del 2018. 
    Nell'emendamento, peraltro, si proponeva di modificare «anche  il
titolo  del  decreto-legge,   in   relazione   alla   materia   cosi'
introdotta».  Affermazione,  quest'ultima,  palesemente   confessoria
dell'assoluta estraneita' della materia  dei  commissariamenti  delle
regioni in  piano  di  rientro  rispetto  al  contenuto  proprio  del
decreto-legge n. 119 del 2018. 
    Tanto premesso circa il tortuoso iter della norma qui  censurata,
e' possibile illustrare  le  ragioni -  invero  autoevidenti -  della
violazione dell'art. 77 Cost. 
    1.1. - Anzitutto la norma impugnata viola l'art. 77 Cost. a causa
della sua patente  estraneita'  rispetto  alla  materia  disciplinata
dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui e' stata, del tutto
inopinatamente, inserita. 
    Per costante insegnamento di codesta ecc.ma Corte costituzionale,
«ogni disposizione introdotta in  sede  di  conversione  deve  essere
collegata ad una dei contenuti gia' disciplinati  dal  decreto-legge,
ovvero alla ratio dominante del provvedimento originario  considerato
nel suo complesso». Per l'effetto, «l'inserimento di norme eterogenee
rispetto all'oggetto o alla finalita' del decreto-legge determina  la
violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost.», violazione  che  «non
deriva dalla  mancanza  dei  presupposti  di  necessita'  e  urgenza,
giacche'   esse,   proprio   per   essere   estranee    e    inserite
successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari
(sentenza n. 355 del 2010),  ma  scaturisce  dall'uso  improprio,  da
parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione attribuisce ad
esso, con speciali modalita'  di  procedura,  allo  scopo  tipico  di
convertire, o non, in legge un  decreto-legge  (sentenza  n.  22  del
2012)» (sent. n. 154 del 2015). 
    Ora,  e'  ben  evidente  che  l'art.  25-septies  non  ha  alcuna
connessione con i contenuti gia' disciplinati  nel  decreto-legge  n.
119 del 2018 ne', peraltro, si  inscrive  coerentemente  nel  disegno
complessivo  del  predetto  decreto-legge.  La  stessa  storia   (del
fallimento) dei  tentativi  del  suo  inserimento  in  decreti  legge
ripetutamente succedutisi nel tempo dimostra  la  natura  strutturale
dell'intervento  e  la  sua  estraneita'  alla  normazione   primaria
d'urgenza. 
    1.1.1. - Quanto ai contenuti, sia sufficiente considerare che  il
decreto-legge n. 119  del  2018  (recante  «Disposizioni  urgenti  in
materia  fiscale  e  finanziaria»),  nel  testo  presentato  per   la
conversione al Senato, constava di due Titoli: il Titolo I,  dedicato
alle «Disposizioni in materia fiscale» (contenente norme  in  materia
di pacificazione fiscale, contrasto all'evasione, etc.), e il  Titolo
II, contenente «Disposizioni finanziarie urgenti»,  che  constava  di
soli 7 articoli, nessuno dei quali aveva minimamente a che vedere con
il commissariamento delle regioni in piano  di  rientro  dal  deficit
sanitario. 
    Orbene, dopo la fase di conversione,  sia  il  contenuto  che  la
struttura del decreto-legge in parola risultano invero trasfigurati. 
    Nel Titolo II - ribattezzato «Disposizioni finanziarie urgenti  e
disposizioni in materia sanitaria» - figurano, nel testo  convertito,
29 articoli, di cui ben 22 introdotti con la legge di conversione. 
    Tra di essi figura  anche  l'art.  25-septies  qui  gravato,  che
disciplina un oggetto che, pacificamente, non ha nulla a  che  vedere
con le altre disposizioni del decreto-legge n. 119 del 2018. 
    1.1.2. - Quanto alle finalita', va detto che il decreto-legge  n.
119 del 2018, in premessa, da' conto della «straordinaria  necessita'
ed urgenza di prevedere misure per  esigenze  fiscali  e  finanziarie
indifferibili». 
    A meno di non voler ridurre tale enunciazione a mera clausola  di
stile, bisogna constatare che la norma  qui  censurata  non  puo'  in
alcun modo essere ascritta fra le misure che  rispondono  a  esigenze
«fiscali» o «finanziarie», per di piu' indifferibili. 
    L'art.  25-septies,  infatti,  ha  interamente  riformato -   con
interventi mirati - la disciplina dei  commissariamenti  disposti  ai
sensi dell'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 per  le
regioni in piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario. 
    Trattasi dunque di una normativa «a regime», che opera una scelta
di sistema del tutto svincolata dalle contingenze (tantomeno  fiscali
o finanziare) del momento. Prova ne e' il fatto che  circa  due  mesi
prima lo stesso testo era stato inserito nello  schema  di  un  altro
decreto-legge e lo stesso era accaduto con  lo  schema  del  medesimo
decreto fiscale. 
    Non solo. Si consenta di anticipare quanto meglio si dira' infra,
cioe' che risulta davvero paradossale che un decreto-legge  inteso  a
far fronte a esigenze fiscali e finanziarie contenga una norma - qual
e' quella qui  impugnata  -  che  anziche'  razionalizzare  la  spesa
pubblica l'aumenta. 
    E' infatti evidente  che  preferire  a  priori  a  chi  sia  gia'
titolare di un incarico istituzionale presso la regione  un  soggetto
esterno vuol dire  imporre  «a  regime»  alla  regione  commissariata
un'ulteriore   spesa,   necessaria   per   remunerare,    oltre    al
sub-commissario, anche il commissario ad acta. 
    1.2. - Si confida, quindi, di aver dimostrato che  la  norma  qui
gravata e' del  tutto  estranea  all'oggetto  e  alle  finalita'  del
decreto-legge n. 119 del 2018. 
    Orbene, e' fuor di dubbio  che  il  vincolo  di  omogeneita'  non
riguarda solo il decreto-legge, ma anche la legge  di  conversione  e
che l'introduzione, in  sede  di  conversione,  di  norme  eterogenee
configura una manifesta violazione dell'art. 77 Cost. 
    Codesta ecc.ma Corte, sin dalla sent. n. 22 del 2012  (e  da  li'
costantemente), ha chiarito come «l'esclusione della possibilita'  di
inserire nella legge di conversione di un  decreto-legge  emendamenti
del tutto estranei all'oggetto e alle finalita' del testo  originario
non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma  sia
imposta dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un
nesso di interrelazione funzionale  tra  decreto-legge,  formato  dal
Governo ed emanato  dal  Presidente  della  Repubblica,  e  legge  di
conversione,  caratterizzata  da  un  procedimento  di  approvazione,
peculiare rispetto a quello ordinario». 
    Cio', ovviamente,  non  vuol  dire  che  le  Camere  non  possano
apportare emendamenti al testo del  decreto-legge.  Nondimeno,  «cio'
che esorbita [...] dalla  sequenza  tipica  profilata  dall'art.  77,
secondo comma, Cost.,  e'  l'alterazione  dell'omogeneita'  di  fondo
della normativa urgente, quale risulta dal testo originario». 
    Ebbene: come visto, cio' e' proprio quanto si verifica  nel  caso
di specie, atteso che l'art. 25-septies non ha nulla a che vedere ne'
con l'oggetto ne' con le finalita' del provvedimento originario,  dal
quale,  peraltro,  era  stato  addirittura  stralciato  prima   dell'
emanazione. 
    2. - Violazione degli  articoli  3  e  97  Cost.  Violazione  del
principio di leale collaborazione ex articoli  117  e  118  Cost.,  e
degli articoli 117, comma 3, 118 e 120 Cost. La disciplina introdotta
dall'art. 25-septies del decreto-legge n. 119 del  2018  e'  altresi'
costituzionalmente illegittima in quanto apertamente in contrasto col
principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost,  e  con  quelli  di  buon
andamento della pubblica amministrazione  ex  97  Cost.  e  di  leale
collaborazione tra  Stato  e  regioni  (che  presidia  specificamente
l'esercizio dei poteri sostituivi). 
    2.1. - Codesta ecc.ma  Corte,  in  una  risalente  pronuncia,  ha
statuito il  principio,  tuttora  ben  saldo,  che  «il  giudizio  di
ragionevolezza, [...], si  svolge  attraverso  ponderazioni  relative
alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita'  che  intende  perseguire,  tenuto  conto
delle circostanze  e  delle  limitazioni  concretamente  sussistenti»
(sent. n. 1130 del 1988). 
    Nel caso  di  specie  non  v'e'  dubbio  che  una  riforma  della
disciplina dei commissariamenti delle regioni in Piano di rientro dal
deficit sanitario puo' avere un  unico  scopo:  rendere  quanto  piu'
rapido ed efficiente possibile il perseguimento degli  obiettivi  del
piano medesimo e, quindi, l'uscita dal commissariamento. E' parimenti
indubbio che il perseguimento di detto scopo necessita di un continuo
confronto con l'amministrazione della regione commissariata. 
    Come e' stato affermato dalla Conferenza delle  Regioni  e  delle
Provincie  autonome  con  Nota   2018/104/SRFS/C7,   tale   confronto
istituzionale e operativo assicura «continuita' e forza all'azione di
risanamento» rispetto al deficit sanitario, in quanto garantisce  «il
massimo raccordo possibile tra la programmazione regionale,  l'azione
amministrativa e la scelta del commissario».  Solo  in  questo  modo,
infatti, le esigenze correlate ai vincoli di bilancio possono  essere
conciliate con  quelle  di  opportuna  allocazione  dei  servizi  sui
territori, attraverso una programmazione pienamente consapevole delle
risorse  finanziarie,  organizzative  e  di  personale  del   sistema
sanitario regionale. 
    Tutto cio' considerato circa  le  esigenze  da  soddisfare  e  le
condizioni concretamente esistenti, e' fuor di dubbio che ragionevole
e'  solo  un  intervento  che  agevola,  o  quantomeno  consente,  il
confronto istituzionale e operativo  costante  tra  l'amministrazione
della regione commissariata e la  struttura  commissariale  medesima.
Cio'  vuol  dire  che  tra  l'una  e  l'altra  deve   necessariamente
sussistere un elemento di raccordo, in grado di garantire la coerenza
della programmazione regionale con le esigenze  di  bilancio  che  la
struttura commissariale e' tenuta a perseguire. 
    In difetto di un  simile  elemento  di  raccordo,  viceversa,  il
sistema  di  commissariamento   non   puo'   operare   correttamente,
assicurando il buon andamento della macchina amministrativa. 
    2.2. - Orbene, venendo all'art. 25-septies del  decreto-legge  n.
119 del 2018, e' di piana evidenza che, rispetto agli  scopi  e  alle
circostanze esistenti, i mezzi prescelti  dal  legislatore  sono  non
soltanto sproporzionati, ma addirittura dannosi. 
    La  previsione  di  un'assoluta  incompatibilita'   del   mandato
commissariale   con   lo   svolgimento   di   qualsivoglia   incarico
istituzionale   in   ambito   regionale,   per   giunta   applicabile
retroattivamente anche nelle regioni in cui  il  commissariamento  e'
gia' in atto, e'  infatti  irragionevole  e  contraddittoria  con  la
finalita' del piano di rientro e dello stesso commissariamento  della
sanita' regionale. 
    Essa, infatti, preclude al  Governo  l'affidamento  dell'incarico
commissariale  proprio  a  quei  soggetti  che,  in   ragione   della
titolarita' di funzioni in ambito  regionale,  possono  garantire  il
continuo confronto tra la struttura commissariale,  l'amministrazione
regionale e il territorio amministrato. 
    Confronto che - come rilevato  supra  -  e'  necessario  ai  fini
dell'attuazione degli obiettivi del Piano di rientro. 
    Per  tali  ragioni  la   norma,   oltre   a   essere   senz'altro
irragionevole, e dunque violativa dell'art. 3 Cost., e'  altresi'  in
contrasto  con  il  principio  di  buon  andamento   della   pubblica
amministrazione di cui all'art. 97 Cost., giacche' disegna «a regime»
la  struttura  commissariale  come  entita'   assolutamente   slegata
dall'istituzione regionale. Cosi' facendo  il  legislatore,  anziche'
rendere piu' efficiente l'attivita'  della  struttura  commissariale,
finisce per depotenziarla. 
    Non sfugge, infatti, che - a differenza di quanto il  legislatore
dimostra di ritenere  -l'obiettivo  del  risanamento  finanziario  e'
assai piu' difficile da raggiungere per una  struttura  priva  di  un
elemento di raccordo con l'istituzione  regionale  che  non  per  una
gestione commissariale  che  in  se'  concentra  sia  una  componente
tecnica che una piu' prettamente istituzionale. 
    Giova sin d'ora ribadire -  a  scanso  di  equivoci  -  che  tale
insistenza sulla necessita' di un elemento  di  raccordo  non  incide
minimamente sul principio  dell'ovvia  separazione  dei  ruoli  -  di
commissario ad acta e  di  titolare  di  incarico  istituzionale  pur
svolti dalla medesima persona fisica. Come codesta ecc.ma Corte ha in
numerose occasioni ricordato, tale separazione e' cosi' netta che  la
stessa legge regionale non puo' sovrapporre le  funzioni  ascrivibili
all'uno e all'altro, in ipotesi attribuendo al presidente pro tempore
(ove nominato commissario), in  quanto  tale,  compiti  riservati  al
commissario. 
    Ed  e'  bene  anche  sgombrare  un  altro   possibile   equivoco:
l'incarico commissariale a un  titolare  di  funzioni  in  seno  alla
regione ben potrebbe essere inopportuno, ma l'inopportunita' dovrebbe
essere accertata e motivata di volta in volta, non data astrattamente
(e irragionevolmente) per presupposta una volta per tutte. 
    2.3. - Occorre insistere. Non e' chi non veda come  la  norma  si
fondi  su  un  vero  e  proprio   pregiudizio   negativo   circa   la
(in)capacita'   e   l'(in)idoneita'    dei    soggetti    provenienti
dall'amministrazione   regionale   allo   svolgimento   dell'incarico
commissariale. 
    In buona sostanza, dunque, il legislatore muove dall'assunto  che
la   concentrazione   dell'incarico   commissariale   e   di   quello
istituzionale sia sempre e comunque causa  delle  inefficienze  nella
gestione  della  sanita'  regionale.  Da  tale  postulato   -   senza
effettuare alcun tipo di bilanciamento della pluralita' di  interessi
in gioco - fa discendere sempre e comunque il divieto di  cumulo  tra
incarico commissariale e ogni altro incarico istituzionale. 
    Il divieto, quindi: 
         ha il perimetro piu' ampio che possa immaginarsi, atteso che
la norma non esclude dal ventaglio dei «nominabili»  il  titolare  di
questo  o  quell'incarico  istituzionale,  ma -   giova   ribadirlo -
chiunque sia titolare di qualsiasi incarico istituzionale; 
         opera in maniera indiscriminata,  senza  tener  conto  della
specifica situazione in cui versa il percorso  di  risanamento  della
regione commissariata. 
    Ebbene, la norma gravata: 
        i) viola il combinato disposto degli articoli 3 e  97  Cost.,
istituendo una presunzione  iuris  et  de  iure  di  inidoneita'  dei
titolari  di  funzioni   regionali   e   rendendo   problematico   il
funzionamento dell'amministrazione, a causa dell'inevitabile  difetto
di coordinamento fra struttura commissariale e apparato regionale; 
        ii) conseguentemente, determina, senza alcuna valida  ragione
di rilievo costituzionale, un'ulteriore compressione delle competenze
amministrative della regione nelle materie «tutela  della  salute»  e
«coordinamento della finanza pubblica», in patente violazione,  oltre
che del principio di ragionevolezza ex  art.  3  Cost.,  anche  degli
articoli 117, comma 3, e 118 Cost.; 
        iii) sopprime, senza perseguire alcun interesse meritevole di
tutela,  un  meccanismo  di  fruttuosa  collaborazione  tra  Stato  e
regioni, in patente violazione del  principio  di  ragionevolezza  ex
art. 3 Cost., degli articoli 117, comma 3, 118 Cost., e del principio
di leale collaborazione ex art. 117 Cost. 
    2.4. - Si confida di aver dimostrato che la disciplina  censurata
e' interamente costruita su un irragionevole automatismo legislativo,
che impedisce al Consiglio dei ministri di effettuare una valutazione
in concreto e basata sui dati del sistema sanitario  regionale  circa
l'idoneita' e l'opportunita' della nomina a commissario ad acta di un
soggetto che assicuri il necessario confronto  con  l'amministrazione
regionale attraverso la coincidenza, in capo alla  medesima  persona,
di un incarico istituzionale presso la regione. 
    Come   tutti   gli   automatismi    legislativi,    ripetutamente
stigmatizzati  dalla   giurisprudenza   di   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale (v., ex multis, sentt. nn. 303  del  1996  e  329  del
2007), anche quello imposto dall'art. 25-septies del decreto-legge n.
119  del  2018  determina  irrazionalita'  e  inefficienze,  connesse
all'aprioristica esclusione di una possibilita' di scelta, che non si
puo'  nemmeno  vagliare,  nonostante  sia -  per  le   ragioni   gia'
accennate - la piu' ragionevole a disposizione. 
    La norma e' dunque violativa  dell'art.  3  Cost.  anche  per  il
profilo specifico  dell'assenza  di  un  (anche  minimo)  margine  di
apprezzamento del caso concreto e anche per tale  ragione  dev'essere
dichiarata costituzionalmente illegittima. 
    Tale  e'  infatti  la  conseguenza  che  discende   dalla   piana
applicazione alla  fattispecie  de  qua  dei  principi  enunciati  da
codesta ecc.ma Corte  costituzionale  in  tema  di  c.d  «presunzioni
insuperabili» e «automatismi sanzionatori». 
    Principi, questi,  senz'altro  estensibili  -  sia  pure  mutatis
mutandis - al caso in esame. Valga il vero. 
    Nella sent. n. 329 del 2007 codesta ecc.ma  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., di
una norma «nella parte in  cui,  facendo  discendere  automaticamente
dalla dichiarazione di decadenza il divieto di  concorrere  ad  altro
impiego nell'amministrazione dello Stato, non  prevede[va]  l'obbligo
dell'amministrazione  di  valutare  il  provvedimento  di   decadenza
dall'impiego, [...], al fine della ponderazione della proporzione tra
gravita' del comportamento e divieto di concorrere ad  altro  impiego
nell'amministrazione dello Stato». 
    Nella sent. n. 76 del 2017 codesto ecc.mo  Collegio  ha  ribadito
tale orientamento in materia di trattamento sanzionatorio della donna
che sia madre di  un  minore,  alla  quale  sia  impedito  ope  legis
l'accesso alle c.d. «modalita' agevolate di espiazione  della  pena».
In quel caso - ha rilevato la sentenza citata - venivano a  collidere
«l'interesse del minore con le esigenze  di  difesa  sociale  sottese
alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore in seguito
alla  commissione  di  un  reato».  L'equo  bilanciamento   di   tali
interessi, secondo codesta ecc.ma Corte, «puo' realizzarsi attraverso
regole legali che determinano, in astratto, i limiti rispettivi entro
i quali i diversi principi possono trovare contemperata tutela».  Ove
invece  «il   legislatore,   tramite   il   ricorso   a   presunzioni
insuperabili, nega in radice l'accesso  della  madre  alle  modalita'
agevolate di espiazione della pena e, cosi', impedisce al giudice  di
valutare la sussistenza in concreto, nelle singole situazioni,  delle
ricordate esigenze di difesa sociale, non si e' piu' in  presenza  di
un bilanciamento tra principi, che si traduce nella determinazione di
una ragionevole regola legale: si e' al cospetto dell'introduzione di
un automatismo basato su indici  presuntivi,  il  quale  comporta  il
totale sacrificio dell'interesse del minore». Nello stesso  senso  si
possono citare, ex plurimis, le sentt.  31  del  2012  sulla  perdita
della potesta' genitoriale ex art. 569 del  codice  penale;  239  del
2014 sulla concessione della detenzione domiciliare speciale  per  le
detenute madri; 76 del 2016 sul c.d. «ravvedimento collaborativo». 
    Ebbene: e' di piena evidenza che  la  norma  impugnata  reca  una
presunzione insuperabile  d'inidoneita'  dei  titolari  di  incarichi
istituzionali a svolgere l'incarico commissariale. 
    L'inspiegabile preclusione di ogni valutazione del caso  concreto
rende quindi la norma in irrimediabile contrasto con l'art.  3  Cost.
anche per tale profilo, che inevitabilmente ridonda sulle  competenze
regionali sia legislative che amministrative in  materia  di  «tutela
della salute» e di «coordinamento della finanza pubblica». 
    2.5.  - V'e',  pero',  anche  un   altro   profilo   di   patente
illegittimita'  costituzionale  della  norma  indicata  in  epigrafe,
diverso da (benche' connesso con) quello di ragionevolezza. 
    L'art. 25-septies del  decreto-legge  n.  119  del  2018  risulta
infatti in aperto contrasto con  il  principio  di  proporzionalita',
pure desumibile dall'art. 3 Cost. 
    Nella sent. n. 1 del 2014 codesta ecc.ma Corte ha  osservato  che
«il test di proporzionalita' utilizzato da questa Corte come da molte
delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello
di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte  di  giustizia
dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di  legittimita'
degli atti dell'Unione e degli stati membri, richiede di valutare  se
la norma oggetto di scrutinio,  con  la  misura  e  le  modalita'  di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al  conseguimento  di
obiettivi legittimamente  perseguiti,  in  quanto,  tra  piu'  misure
appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei   diritti   a
confronto  e  stabilisca  oneri  non   sproporzionati   rispetto   al
perseguimento di detti obiettivi». 
    Ebbene:  la  norma  qui  impugnata  non  supera  detto  test   di
proporzionalita'. 
    Nel caso di specie, infatti, ammesso pure che la misura prescelta
sia appropriata al perseguimento degli obiettivi (quod non!), essa: 
        i) non e' certamente quella meno pregiudizievole, atteso che,
anzi,  comprime  al  massimo  le  attribuzioni  costituzionali  della
regione  commissariata,  estromettendo  in  ogni  caso  l'istituzione
regionale dalla struttura commissariale; 
        ii) impone un onere evidentemente sproporzionato rispetto  al
perseguimento degli obiettivi  di  rientro,  giacche'  stabilisce  il
medesimo divieto di cumulo di incarico commissariale e  istituzionale
per qualunque regione,  senza  valutare,  in  forza  della  specifica
situazione, se la sostituzione con un soggetto esterno sia in  alcuni
casi addirittura dannosa. 
    Per l'effetto, il commissario ad acta titolare di altro  incarico
istituzionale presso la regione sara'  de  plano  sostituito  con  un
soggetto esterno tanto in una regione in cui si stia  dando  puntuale
adempimento agli obiettivi del Piano di rientro, quanto  in  un'altra
in cui il dissesto sia stato aumentato da una gestione  commissariale
inefficiente e irresponsabile. 
    3.  - Violazione,   per   altro   profilo,   del   principio   di
ragionevolezza ex art. 3 Cost.,  del  principio  del  buon  andamento
della pubblica amministrazione ex art. 97  Cost.,  del  principio  di
leale collaborazione e di sussidiarieta', degli articoli  117,  comma
3, 118 e 120 Cost. La previsione dell'incompatibilita' e' illegittima
anche per un diverso profilo, specificamente connesso alla disciplina
costituzionale dell'esercizio dei poteri sostitutivi. 
    A tal proposito, codesta ecc.ma Corte, nella  sent.  n.  171  del
2015 (richiamata anche dalla piu' recente sent. n. 56  del  2018,  ma
espressiva di un consolidato orientamento), ha affermato  che  l'art.
120 Cost. impone allo Stato di esercitare i  poteri  sostitutivi  nel
rispetto di limiti precisi, in quanto essi: 
        «devono essere attivati solo in  caso  di  accertata  inerzia
della regione o dell'ente locale sostituito»; 
        «devono  rispettare  il  principio  di  leale  collaborazione
all'interno di un procedimento nel quale l'ente sostituito possa  far
valere le proprie ragioni»; 
        «devono conformarsi al principio di sussidiarieta'». 
    Ebbene:  e'  di  piana  evidenza  che   l'art.   25-septies   del
decreto-legge n. 119 del 2018 non rispetta nessuno di tali paradigmi. 
    Anzitutto - come ampiamente argomentato al par. 2 - nel  caso  di
specie si  vieta  di  cumulare  l'incarico  istituzionale  e  quello,
commissariale  senza  verificare  se  tale  misura  sia,   nel   caso
specifico,  proporzionata  e  necessaria  e,  soprattutto,  se   tale
necessita' derivi dalla «accertata inerzia della  regione»  nel  dare
attuazione al piano di rientro. La norma in  questione  non  prevede,
infatti, alcuna  fase  di  accertamento  dell'inerzia  della  regione
commissariata  o  di  altre  specifiche   circostanze   che   rendano
ragionevole e/o  opportuno  non  concentrare  in  un  unico  soggetto
l'incarico commissariale e quello istituzionale. La considerazione e'
tanto piu' importante quanto  piu'  si  rifletta  sul  fatto  che  la
naturale alternanza di  maggioranze  politiche  puo'  determinare  un
cambio radicale alla guida delle regioni, con la conseguenza  che  e'
illogico  far  gravare  sui   nuovi   governi   regionali   eventuali
inadempienze dei vecchi. Parimenti assente e' la  previsione  di  una
fase di confronto con la regione interessata che,  nel  rispetto  del
principio di leale collaborazione, le consenta quantomeno di  esporre
le ragioni che rendono preferibile la scelta di trattenere in capo  a
un soggetto titolare di incarico  istituzionale  anche  il  ruolo  di
commissario ad acta. Nulla di tutto cio', invece, e'  previsto  dalla
norma censurata. 
    Neppure  puo'  dirsi  rispettato,  peraltro,  il   principio   di
sussidiarieta', atteso che,  nel  caso  di  specie,  la  scelta  piu'
ragionevole - i.e. il conferimento dell'incarico commissariale  a  un
soggetto in grado di garantire un  costante  coordinamento  operativo
con  l'istituzione  regionale -  sarebbe  stata  anche  quella   piu'
«prossima» al soggetto sostituito. 
    A piu' forte ragione, dunque, la norma avrebbe dovuto indicare le
circostanze - emergenti da una valutazione del  caso  concreto  -  in
presenza delle quali il Governo poteva disattendere la  regola  della
prossimita' che, nel caso  di  specie,  si  salda  con  quella  della
ragionevolezza,  efficienza  e  (come  subito  appresso   si   dira')
economicita' della decisione pubblica. 
    Ora,  di  piana  evidenza  che  l'inosservanza  della  disciplina
costituzionale in materia di  esercizio  dei  poteri  sostitutivi  si
riflette immediatamente sulle  attribuzioni  conferite  alla  regione
dagli articoli 117, comma 3, Cost. (con  specifico  riferimento  alla
materia «tutela della salute») e all'art. 118 Cost. 
    La  regione,  infatti,  finisce  per  non   avere   alcun   ruolo
all'interno della struttura commissariale, benche'  il  principio  di
leale collaborazione e l'art. 120  Cost.  impongano  che  le  regioni
«direttamente interessat[e]  dall'esercizio  del  potere  sostitutivo
siano specificamente e individualmente coinvolt[e] in modo  da  poter
far valere le proprie ragioni». 
    Tanto, anche - e ancora una volta - in ispregio del principio  di
buon andamento della pubblica  amministrazione  sancito  all'art.  97
Cost. 
    4. - Violazione degli articoli 81 e 97 Cost., in riferimento agli
articoli 117,  comma  3,  e  118  Cost,  nonche'  in  riferimento  al
principio   di   leale   collaborazione.   L'art.   25-septies    del
decreto-legge n. 119 del 2018 viola altresi' gli artt. 81 e 97 Cost.,
in riferimento alle  attribuzioni  costituzionali  riconosciute  alla
regione nelle materie «tutela della salute»  e  «coordinamento  della
finanza pubblica» ex articoli 117, comma 3, e 118 Cost.,  nonche'  in
riferimento al principio di leale collaborazione. 
    4.1. - Come segnalato in  narrativa,  stando  a  quanto  previsto
dall'art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del  2007,  gli  oneri
derivanti dalla gestione commissariale sono «a carico  della  regione
interessata». 
    La norma  qui  censurata  impone  la  nomina  di  un  commissario
esterno, il quale, ovviamente, dovra'  essere  remunerato.  Pertanto,
mentre nella vigenza della precedente normativa  l'esborso  a  carico
delle  regioni  riguardava  la  sola  spesa  per  il  sub-commissario
esterno - atteso che l'incarico di commissario ad acta era svolto dal
presidente della regione senza oneri ulteriori -, ora, in forza della
norma indicata in epigrafe, la regione commissariata risulta  gravata
di una spesa aggiuntiva. 
    Il punto non e' di poco conto. Una regione sottoposta a Piano  di
rientro,  com'e'  noto,  e'  soggetta  a  vincoli  finanziari   assai
stringenti che si risolvono,  inevitabilmente,  in  una  compressione
della sua autonomia  legislativa.  Compressione  che  codesta  ecc.ma
Corte costituzionale ha dimostrato di ritenere inevitabile, rilevando
persino che «l'illegittimita' costituzionale  della  legge  regionale
sussiste anche  quando  l'interferenza  e'  meramente  potenziale  e,
dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto  con  i
poteri del commissario incaricato di  attuare  il  piano  di  rientro
(sentenza n. 110 del 2014)» (sentenza n. 227 del 2015)» (sent. n.  14
del 2017). 
    Tutto cio' considerato, desta serie perplessita' il fatto che una
regione tenuta ad astenersi da tutti gli interventi non previsti  dal
Piano che possano aggravare il disavanzo  sanitario  regionale  (cfr.
Corte cost., sent.  n.  104  del  2013)  e  tenuta  a  tutelare  «gli
interessi della  collettivita'  amministrata  [...]  entro  i  limiti
imposti dal legislatore nel delicato periodo del risanamento»  (Corte
cost., sent.  n.  117  del  2018),  possa  essere  onerata  di  spese
ulteriori in virtu' di un puro e semplice automatismo legislativo. 
    Il tutto - si badi - senza disporre di strumenti  per  dimostrare
al Governo la preferibilita', nel caso specifico, della nomina di  un
soggetto «interno» all'istituzione regionale. 
    Tanto, per il semplice fatto che la norma non prevede neppure  la
possibilita',  per  il  Governo,  di  vagliare,  tra  piu'  soluzioni
possibili, quella migliore per la concreta condizione  della  regione
interessata. 
    4.2.  - Alla  luce  di  quanto  sin  qui  osservato  emerge   con
chiarezza, anzitutto, che  l'esigenza  di  contenimento  della  spesa
pubblica riconducibile al  disposto  di  cui  all'art.  81  Cost.  e'
apertamente frustrata dalla norma qui censurata, che impone del tutto
irragionevolmente  un  considerevole  aumento  della  spesa  pubblica
regionale. 
    Non solo. Il legislatore non ha fornito alcuna indicazione  delle
ragioni   che   rendevano   necessario   abbandonare    un    modello
economicamente piu' vantaggioso per le finanze pubbliche,  in  favore
di un altro  che  impone  alla  regione  nuovi  oneri  (e'  superfluo
ricordare  che  nella  relazione  al  d.d.l.   di   conversione   del
decreto-legge  n.  119  del  2018  l'articolo  in  questione  neppure
compare). 
    Tanto - si badi - per il semplice  fatto  che  tali  ragioni  non
sussistevano  e  che  i  maggiori  oneri  a  carico   della   regione
costituiscono semplicemente l'effetto  dell'aprioristico  pregiudizio
negativo  del  legislatore   nei   confronti   della   concentrazione
dell'incarico commissariale e di quello  di  presidente  pro  tempore
della Giunta regionale. 
    L'art. 25-septies del decreto-legge  n.  119  del  2018  si  pone
dunque in contrasto, oltre che con l'art. 81 Cost., anche con  l'art.
97 Cost., poiche' risulta disatteso il criterio di  economicita'  ivi
indicato, «secondo cui l'azione delle pubbliche amministrazioni  deve
perseguire  i  propri  obiettivi,  garantendo  il  buon  andamento  e
l'imparzialita' con il minimo dispendio  di  risorse»  (Corte  cost.,
sent. n. 133 del 2016). 
    5. - Con specifico riferimento all'art. 25-septies, comma 3,  del
decreto-legge n. 119 del 2018. 
    Violazione del legittimo  affidamento.  Come  gia'  segnalato  in
narrativa, la norma censurata ha previsto, al terzo comnia,  che  «Le
disposizioni di cui al primo e  al  secondo  periodo  del  comma  569
dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, come modificato
dal comma 2 del presente articolo, si applicano anche agli  incarichi
commissariali in atto, a qualunque titolo, alla data  di  entrata  in
vigore del presente decreto». Per l'effetto, la norma ha disposto che
«il Consiglio dei ministri provvede entro novanta giorni, secondo  la
procedura di cui all'articolo 2, comma 79, della  legge  23  dicembre
2009, n. 191, alla nomina di un commissario ad acta per ogni  regione
in cui si sia  determinata  l'incompatibilita'  del  commissario,  il
quale resta comunque in carica fino alla nomina del nuovo commissario
ad acta». 
    La  previsione  in   esame   determina   dunque   un'applicazione
sostanzialmente retroattiva della previsione d'incompatibilita'. 
    5.1. - Orbene, tale disposizione, in aggiunta a quanto illustrato
nei precedenti  paragrafi,  comporta  la  cessazione  automatica  del
mandato commissariale in corso, senza una previa e concreta verifica: 
        i) dello stato di avanzamento del piano di rientro; 
        ii) della capacita' e  dell'idoneita'  del  commissario  gia'
nominato quanto al proseguimento dell'azione di risanamento; 
        iii) dell'opportunita' (se non addirittura della  necessita')
di attribuire l'incarico commissariale a una  persona  che  sia  gia'
titolare di incarico istituzionale presso la regione. 
    Da tanto discende che l'applicazione dell'art. 25-septies,  comma
3, del decreto-legge  n.  119  del  2018  equivale  a  un  intervento
sostitutivo nei confronti  delle  regioni  del  tutto  discrezionale,
gravemente    contraddittorio    rispetto     alla     giurisprudenza
costituzionale, la quale ha  affermato  che  «il  potere  sostitutivo
[...] lungi dal potere essere azionato ad libitum,  si  fonda  su  un
presupposto,   di   solito    da    individuarsi    nell'inerzia    o
nell'inadempimento da parte del sostituito» (sent.  Corte  cost.,  n.
152 del 2015). 
    Anche tale previsione, dunque, risulta violativa del principio di
ragionevolezza ex art. 3 Cost., del principio di buon andamento della
pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., degli articoli 117,  comma
3, 118 e 120 Cost., e del principio di leale collaborazione  ex  art.
117 Cost. 
    5.2. - A tali parametri, peraltro, deve aggiungersi quello  della
tutela del  legittimo  affidamento,  che  determina  l'illegittimita'
costituzionale  delle  leggi  che   impingono   retroattivamente   in
situazioni  giuridiche  consolidate  senza  essere  sorrette  da  una
stringente ragione che giustifichi la compressione del  diritto  alla
conservazione  dello  status  quo  ante  a  fronte   di   capricciosi
interventi legislativi operanti in praeterito tempore. 
    Il principio del legittimo  affidamento  costituisce  infatti  un
«principio connaturato allo Stato di  diritto»  (cosi'  Corte  cost.,
sent.  n.  103  del  2013),  che  tutela  le  situazioni   soggettive
consolidatesi  sulla   base   di   atti -   provenienti   da   organi
amministrativi, legislativi o giudiziari -, che abbiano generato  nei
destinatari un'aspettativa di stabilita'. La legittima aspettativa di
continuita'  e'  stata  quindi   frustrata   senza   alcuna   ragione
giustificativa. 
    Com'e' noto, secondo la giurisprudenza di codesta  ecc.ma  Corte,
di recente ribadita nella sent. n. 154 del 2017: 
        «il valore  del  legittimo  affidamento  nella  certezza  dei
rapporti giuridici - la cui nozione appare  sovrapponibile  a  quella
maturata in ambito europeo, «stante la sostanziale coincidenza  degli
indici  sintomatici  della  lesione  del  principio  dell'affidamento
elaborati nella giurisprudenza di questa  Corte  e  in  quella  delle
Corti europee» (sentenze n. 16 del 2017 e n. 203 del  2016)  -  trova
copertura costituzionale nell'art.  3  Cost.»,  ma  non  «in  termini
assoluti e inderogabili»; 
         difatti, da un lato, «la posizione giuridica che da' luogo a
un  ragionevole  affidamento  nella  permanenza  nel  tempo   di   un
determinato  assetto   regolatorio   deve   risultare   adeguatamente
consolidata,   sia   per   essersi   protratta   per    un    periodo
sufficientemente  lungo,  sia  per  essere  sorta  in   un   contesto
sostanziale atto a  far  sorgere  nel  destinatario  una  ragionevole
fiducia nel suo mantenimento»; 
         dall'altro, «interessi pubblici sopravvenuti possono esigere
interventi normativi diretti a incidere in senso sfavorevole anche su
posizioni  consolidate  -  con  il  limite   della   proporzionalita'
dell'incisione  rispetto  agli  obiettivi   di   interesse   pubblico
perseguiti (sentenza n. 56  del  2015)  -  o  su  assetti  regolatori
precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 216 del 2015)». 
    Ebbene: nel caso di specie l'applicazione retroattiva della norma
impugnata  colpisce  in  modo  indiscriminato  tutti  gli  «incarichi
commissariali in atto», senza operare alcuna distinzione in punto  di
durata dell'incarico medesimo e/o di durata del commissariamento.